Mittelfest abita la sua Mittelland tra Cividale del Friuli, Valli del Natisone e del Torre. Scoprire Mittelfest è entrare dentro una cartografia, trovando alberi mura prati animali e persone, laddove prima ci si districava in una fascinosa selva di voci e di nomi. Allora, prima di trovarsi qui, è possibile lasciarsi sedurre da qualche buon libro o cercar notizie in qualche buon sito

Cividale del Friuli
«Non so quanti italiani conoscano Cividale, la più bella città del Friuli, che conserva l’impronta longobarda più di Pavia, con le viuzze a labirinto. E pochi, tolti gli eruditi soprattutto stranieri, conoscono il museo stupendo e stupendamente ordinato; sculture di scavo, gioielli, croci, stoffe barbariche, mosaici, codici miniati. Ed il tempietto longobardo dai prodigiosi stucchi sull’orrido del Natisone. Avrei voluto ascoltare ciò che rimane del canto aquileiese, un’Epistola ed un Vangelo. È anteriore, mi dicono, al canto gregoriano, e usava ad Aquileia quando tutte le chiese avevano un canto proprio, prima che quello latino le uniformasse. Ad Aquileia si è perduto, ma la Messa dello Spadone di Cividale ne tramanda gli ultimi resti. È la Messa famosa della notte dell’Epifania. Un diacono in elmo piumato, stringendo al petto con la mano sinistra un Evangeliario antico, si affaccia al popolo e disegna in aria la Croce mediante una grande spada d’acciaio; la sua comparsa si ripete sei volte»

Guido Piovene, Viaggio in Italia, Milano, Mondadori, 1957.

Valle del Natisone
«Il viaggiatore che in passato intraprendeva a cavallo, in carrozza o a piedi, la strada che da Cividale porta a est, poteva ben presto constatare che da queste parti si parlava una lingua diversa da quella del Friuli. Attraversato poi in località Muost, Ponte San Quirino, il ponte in pietra e passata la gola scavata dal Natisone, entrava nella regione che i geografi della Repubblica veneta chiamavano Schiavonia. Queste terre montuose dai verdi pendii, tendenti in alto verso le cime rocciose dello sfondo rappresentavano, secondo le cronache che pervenivano ai palazzi della Serenissima, i margini decisamente selvaggi del mondo civilizzato. In queste strette valli, lungo i fiumi e i torrenti, come pure in cima ai monti, nei loro paesi in pietra, circondati da ampi pascoli, in mezzo alle loro vacche, capre e pecore vivevano i montanari parlando la loro lingua slava. Pur essendo fin da tempi antichissimi cristiani, la loro parlata e le loro usanze, le superstizione e la miseria li rendevano del tutto diversi dalla maggioranza degli abitanti dell’illustre ed opulenta Repubblica»

Drago Jančar, Appunti dalla Schiavonia_Zapiski iz Schiavonie, a cura di Michele Obit, traduzione di Ivana Placer, Topolò, Stazione di Topolò, 2008.

Foto Luca A. d’Agostino © Phocus Agency

Valle del Torre
«La strada carreggiabile che dalla valle del Turro serpeggia salendo per un buon miglio, dopo attraversata una metà del paesello, per dar mano all’altra, scavalca il Cornapo, sopra un ponte, che per la solida e pittoresca arditezza potrebbe esser stato eretto dagli angeli, come quello di Cividale dal diavolo, ma oltre l’acqua, e di poco oltrepassata la calata del castello, la carraia scompare in un rovinìo di frane, di ghiaie, di cespugli; e di là molti sentieri si partono alle varie loro faccende, alcuni de’ quali ripiombano nel torrente dov’è il lavatoio e la fontana; altri montano pei fianchi scheggiosi della rupe, come in cerca delle capre che ad essi convengono sulla sera al fischio del pestare; e il più coraggioso s’addentra direttamente nella gola del Cornapo, e a volte piegando a patteggiare con esso fino a raderne il letto, talora sfuggendogli via snello e periglioso per le ripiegature della costa, tal’altra circuendo qualche macchia di castagni, sale a provvedere delle derrate pianigiane i casolari pastorecci della montagna»

Ippolito Nievo, Il conte pecorajo, Milano, Vallardi, 1857.